Vita di Stefano

  • Edizioni Salvatore Sciascia, 1962
  • Ilisso-Rubbettino, 2006

Scrittore soprattutto di «caratteri» e «moralità», Mario La Cava in questo romanzo (che da inedito vinse, nel 1960 – ex aequo con quello di Teresa Carpinteri – il premio «Luigi Monaco», affronta con la stessa asciuttezza di segno, il «ritratto»: figure ed ambiente. Questo è il solito a lui caro: un paese della Calabria, che è un pò l’immagine di quello in cui egli è nato e dimora, e un pò l’allegoria della vita di provincia, grigia, monotona, pettegola, eppur ribollente, al fondo, di passioni anche generose; e le figure, che appartengono a quell’umile gente per la quale il raggiungimento di un pur modesto benessere resta spesso vano miraggio, sono colte nei loro rapporti familiari o di vicinato, di amicizia o di inimicizia, interesse o amore.

Al centro di questo coro, Stefano, nella cui amara vicenda, di giovane dalla viva sensibilità morale ma inetto a tradurla in fatti, in azione, si riflette il disagio di una generazione cresciuta nell’infausto «ventennio».

Un ritratto minuto e pur conciso, inteso quale è a rendere l’elementarità di tale mondo attraverso l’essenzialità dei gesti e soprattutto del parlato, come in un mimo; con effetti che, se talora possono sembrare ingenui o semplicistici, in verità rispondono ad un gusto educato sui classici, di un realismo scarnificato, memore insieme della lezione dei «primitivi» e di quella del Verga.

La vicenda del romanzo, caratterizzato dalla semplicità della struttura narrativa, allo stesso tempo chiara e precisa, è imperniata sulle vicissitudini di Stefano, giovane antifascista disoccupato, dalla complicata psicologia, intorno al quale brulica una comunità viva e vera: dalla madre a Clelia; dalle sorelle, mortificate nella loro condanna a restare zitelle, a Camillo, così umano nella sua rassegnazione alla pena e alla fatica del vivere.
Anche le notazioni politiche, gli accenni al fascismo, che questa povera gente istintivamente ripugna, sono in generale sobri e raramente esorbitano dai limiti psicologici dei personaggi.

Premio Villa San Giovanni 1962